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Da un lago all’altro

Primo agosto, finalmente sono in vacanza, le tanto agognate vacanze di questo anno particolare, senza precedenti nella mia memoria.
Ho deciso di fare quattro settimane di ferie, ne ho in abbondanza e me le merito, ho bisogno di staccare, quest’anno più che mai.
Sono arrivato ad Ascona ieri sera e questa mattina voglio fare una prima escursione e ho già in mente la meta, il lago di Giacopiane, non ci sono mai stato e voglio togliermi subito il pensiero.
Mi accompagna nella gita il fido Andrea con il quale mi fermo a comprare le solite cibarie a Rezzoaglio per dirigerci poi verso il lago delle Lame dove lasciamo la mia amata Sedici.
Ci sono già parecchie auto e parecchi gitanti, un gruppo di escursionisti in mountain bike a cui misurano la temperatura, credo vadano alle Agoraie.
Ho naturalmente la mia app al seguito, in poco tempo è diventata indispensabile, ma oggi non sarà necessaria.
Superata la sbarra un cartello indica la direzione per raggiungere la cappelletta delle Lame, punto intermedio della gita. Percorriamo un breve tratto su di una strada sterrata sino ad un tornante in cui un nuovo cartello indica il sentiero da percorrere. Il percorso si snoda nella foresta tra faggi ed abeti con diverse salite e alcuni tratti in piano il tutto immerso nel silenzio, una pace assoluta interrotta solo dallo scalpiccio dei nostri scarponi sul suolo. Dopo una quarantina di minuti arriviamo nel punto più alto dell’escursione, il passo della Gonnella, metri 1300, dove il sentiero sfocia in una larga strada sterrata che porta in pochi minuti al passo delle Lame dove troviamo il rifugio degli Abeti, una costruzione in restauro e poco lontano una piccola cappella, quella delle Lame appunto.
La nostra sosta dura pochi istanti dopodiché riprendiamo il nostro cammino.
Il sentiero adesso prosegue in leggera discesa tra gli abeti, dopo una prima radura ne incrociamo un’altra attraversata da un limpido ruscello. Passare dalla val d’Aveto alla valle Sturla è un attimo, il tempo di avere di fronte Acero e la sagoma imponente del Ramaceto. Adesso si inizia a scendere in maniera importante, non ci sono tratti ripidi, ma la discesa è costante. Cambia anche la vegetazione che mi ricorda molto quella dei pascoli di Ascona, arbusti, ginepri, faggi. La vista non è il massimo, ma è comunque godibile, caratterizzata alla nostra destra dalla valle che scende verso Borzonasca, si notano Bertigaro e le case de La Squazza.
Sono le undici e un quarto quando arriviamo sullo sterrato che arriva da Campori. Sui prati ci sono alcune tende e si ode il vociare di ragazzi. Fa caldo, molto caldo, l’estate è scoppiata da qualche giorno e per quanto ne sia felice, un po’ mi rode. Proprio oggi doveva fare così caldo?
Con Andrea percorriamo qualche centinaio di metri e dopo aver visto una grossa pianta sulle rive del lago decidiamo di fermarci all’ombra e consumare il nostro pranzo.
Sulla nostra personale spiaggetta ci fermiamo un oretta scarsa, il tempo di mangiare e riposare, non voglio ripetere l’esperienza della gita al passo del Bocco.
Alle dodici e un quarto decidiamo di tornare indietro e mai decisione fu più sbagliata. Adesso il sole picchia forte, fa caldissimo e affrontare la salita verso il passo delle Lame sarà davvero dura.
Con Andrea saliamo lentamente, cercando di limitare gli sforzi, ma fa caldo e ci fermiamo ogni cinquanta metri sotto le poche piante di questo tratto di sentiero a cercare refrigerio. Impieghiamo un ora e un quarto per percorrere i tre chilometri e mezzo di salita e quando arriviamo al rifugio degli Abeti non vorremmo altro che sederci e riposare un attimo, ma non si può in quanto i pochi tavolini sono tutti occupati. Per fortuna c’è una fontana anche se l’acqua non è potabile, ma permette almeno di rinfrescarci. Restiamo qualche minuto all’ombra degli abeti che circondano il rifugio dopodiché riprendiamo il nostro cammino.
Sono le due e mezza quando arriviamo al lago delle Lame. Ci dirigiamo verso il bar ristorante che però è chiuso: in seguito all’epidemia hanno deciso di trasferirlo all’esterno e fare un servizio limitato. Ci sono tavolini da sagra, ombrelloni per proteggere dal sole, un bancone con birra alla spina ed una griglia dove preparare carne alla brace. Non male. Andrea va al banco a prendere due birre ghiacciate, la barista come una madre premurosa si raccomanda di berle piano, Andrea la ringrazia, mi porge la mia ed in barba ai consigli ricevuti in un sorso fa fuori la sua Ichnusa. Si, faceva davvero molto caldo.

Ramaceto, sui sentieri della resistenza, pt 2

La giornata è calda, caldissima, c’è foschia, ma in qualche modo si vedono la penisola di Sestri Levante, Lavagna, Chiavari ed il promontorio di Portofino, una bella vista, comunque emozionante.
In una decina di minuti ci ricompattiamo, il tempo di fare qualche fotografia, scambiarsi le prime impressioni ed è l’ora di mettere qualcosa sotto ai denti.
Una parte dei gitanti opta per rimanere sulla cima del monte, una parte decide invece di scendere nell’area ristoro posta nell’ombra del bosco di faggi a pochi metri di distanza.
E’ un lungo tavolone quello che ci aspetta, lo stesso che usano per la festa che si celebra la prima domenica di luglio: almeno quaranta posti, lastre di ardesia pronte per cuocere la carne, una griglia per l’asado, peccato manchi solo l’acqua.
Mentre le donne chiacchierano del più e del meno, gli uomini disertano su come copiare e riprodurre la stessa struttura nel bosco del Crociglia.
E’ passata l’una da pochi minuti quando ci rimettiamo in marcia: non torneremo sui nostri passi, percorreremo invece l’anello del monte. Non ho ben presente il percorso, ma poco importa.
Adesso il sentiero percorre una parte dell’alta via dei Monti Liguri, camminiamo sul ciglio di strapiombi a picco sulla val Cichero, tra sassi, fiori e faggi.
La vista è fantastica come l’emozione di camminare in un tratto d’appennino cosi suggestivo. Il sentiero, che segue la cresta del Liciorno, prima di arrivare al bivio che riporta nel bosco è lungo, il sole non ci aiuta nel nostro cammino, ma finalmente arriviamo anche li. Siamo sullo spartiacque dei bacini dell’Aveto e dello Sturla.
Adesso il percorso scenderà verso il passo della Forcella protetto dall’ombra del bosco, in un silenzio rotto solo dai nostri passi, dai nostri respiri, dalle poche parole che escono dalle nostre labbra: fa caldo anche tra gli alberi ed è meglio risparmiare ogni energia anche perché molti sono a corto del carburante più importante, l’acqua.
Il sentiero è ben segnato, arriviamo ad un bivio e dopo qualche centinaia di metri arriviamo all’acquedotto che immaginiamo essere quello di Acero e tutti fanno scorta del prezioso liquido, è un apparizione, l’oasi nel deserto.
Riprendiamo il cammino e arriviamo ad un quadrivio, un breve consulto con la nostra guida a distanza ed in breve arriviamo all’area di ristoro della Crocetta che avevo fotografato in mattinata. Verso di noi avanza una mandria di mucche, allungo un braccio verso una di queste per accarezzarla e questa cerca di incornarmi, dovevo immaginarlo, tipica accoglienza ligure.
Ci accampiamo per una decina di minuti, chi beve, chi mette i piedi a bagno, chi prosegue invece nel suo personale calvario verso Ventarola.
La sosta dura almeno un quarto d’ora, più del tempo che manca per fare rientro alle auto.
Poi è il momento di rimettersi in marcia, verso le auto, questione di pochi minuti di cammino e siamo nuovamente al posteggio. Grazie alle moderne tecnologie un applicazione ci indica quanta strada abbiamo percorso, 14,4 chilometri.
Prima di tornare a Torrio c’è ancora il tempo però di godersi il meritato premio, bere tutti insieme una bella birra ghiacciata in un bar di Cabanne e fare le prime considerazioni su di una bella giornata, sicuramente da ripetere.