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25 aprile

“Se noi siamo qui a parlare liberamente in quest’aula, in cui una sciagurata voce irrise e vilipese venticinque anni fa le istituzioni parlamentari, è perché per venti anni qualcuno ha continuato a credere nella democrazia, e questa sua religione ha testimoniato con la prigionia, l’esilio e la morte. Io mi domando, onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea Costituente: se la sentiranno alta e solenne come noi sentiamo oggi alta e solenne la Costituente Romana, dove un secolo fa sedeva e parlava Giuseppe Mazzini. Io credo di sì: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia: e si immagineranno, come sempre avviene che con l’andar dei secoli la storia si trasfiguri nella leggenda, che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani, fino al sacrificio di Anna-Maria Enriquez e di Tina Lorenzoni, nelle quali l’eroismo è giunto alla soglia della santità. Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli.“

Piero Calamandrei: Discorso pronunciato all’Assemblea Costituente nella seduta del 4 marzo 1947

Fonte: https://le-citazioni.it/autori/piero-calamandrei/resistenza/

25 Aprile

Sestola, da la “Casa del Tiglio”, 10 agosto 1944

Carissimo Piero, mio adorato fratello,
la decisione che oggi prendo, ma da tempo cullata, mi detta che io debba scriverti queste righe. Sono certa mi comprenderai perché tu sai benissimo di che volontà io sono, faccio, cioè seguo il mio pensiero, l’ideale che pur un giorno nostro nonno ha sentito, faccio già parte di una Formazione, e ti dirò che il mio comandante ha molta stima e fiducia in me. Spero di essere utile, spero di non deludere i miei superiori. Non ti meraviglia questa mia decisione, vero?
Sono certa sarebbe pure la tua, se troppe cose non ti assillassero. Bene, basta uno della famiglia e questa sono io. Quando un giorno ricevetti la risposta a una lettera di Pally che l’invitavo qui, fra l’altro mi rispose “che diritto ho io di sottrarmi al pericolo comune?” È vero, ma io non stavo qui per star calma, ma perché questo paesino piace al mio spirito, al mio cuore. Ora però tutto è triste, gli avvenimenti in corso coprono anche le cose più belle di un velo triste. Nel mio cuore si è fatta l’idea (purtroppo non da troppi sentita) che tutti più o meno è doveroso dare il suo contributo. Questo richiamo è così forte che lo sento tanto profondamente, che dopo aver messo a posto tutte le mie cose parto contenta.
“Hai nello sguardo qualcosa che mi dice che saprai comandare”, mi ha detto il comandante, “la tua mente dà il massimo affidamento; donne non mi sarei mai sognato di assumere, ma tu sì”. Eppure mi aveva veduto solo due volte.
Saprò fare il mio dovere, se Iddio mi lascierà il dono della vita sarò felice, se diversamente non piangere e non piangete per me.
Ti chiedo una cosa sola: non pensarmi come una sorellina cattiva. Sono una creatura d’azione, il mio spirito ha bisogno di spaziare, ma sono tutti ideali alti e belli. Tu sai benissimo, caro fratello, certo sotto la mia espressione calma, quieta forse, si cela un’anima desiderosa di raggiungere qualche cosa, l’immobilità non è fatta per me, se i lunghi anni trascorsi mi immobilizzarono il fisico, ma la volontà non si è mai assopita. Dio ha voluto che fossi più che mai pronta oggi. Pensami, caro Piero, e benedicimi. Ora vi so tutti in pericolo e del resto è un po’ dappertutto. Dunque ti saluto e ti bacio tanto tanto e ti abbraccio forte.
Tua sorella Paggetto
Ringrazia e saluta Gina.

26/11/1944 Prigione di Pavullo

Mia adorata Pally,
sono gli ultimi istanti della mia vita.
Pally adorata ti dico a te: saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno.
Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il nostro nome.
Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto: ora sono qui fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile affinché la libertà trionfasse.
Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto
Vorrei essere seppellita a Sestola
Irma Marchiani, Sestola

Lettere di Irma Marchiani scritte al fratello Paolo il 10 agosto 1944 e alla sorella Pally il 26 novembre 1944

Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana (http://www.ultimelettere.it), on line dal 26 aprile 2007, INSMLI, visitato sabato 25 aprile 2020.

25 Aprile

Parma, 4-5-1944

Cari compagni, ora tocca a noi.
Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia.      Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella.  Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile.
Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care.
La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio.
Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.

Lettera di Giordano Cavestro (Mirko)
Di anni 18 – studente di scuola media – nato a Parma il 30 novembre 1925 -. Nel 1940 dà vita, di sua iniziativa, ad un bollettino antifascista attorno al quale si mobilitano numerosi militanti – dopo l’8 settembre 1943 lo stesso nucleo diventa centro organizzativo e propulsore delle prime attività partigiane nella zona di Parma -. Catturato il 7 aprile 1944 a Montagnana (Parma), nel corso di un rastrellamento operato da tedeschi e fascisti – tradotto nelle carceri di Parma -. Processato il 14 aprile 1944 dal Tribunale Militare di Parma – condannato a morte, quindi graziato condizionalmente e trattenuto come ostaggio -. Fucilato il 4 maggio 1944 nei pressi di Bardi (Parma), in rappresaglia all’uccisione di quattro militi, con Raimondo Pelinghelli, Vito Salmi, Nello Venturini ed Erasmo Venust
i.

estratto da http://www.storiaxxisecolo.it
Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana

25 Aprile

La Divina Provvidenza non ha concesso che io offrissi all’Italia sui campi d’Africa quella vita che ho dedicato alla Patria il giorno in cui vestii per la prima volta il grigioverde. Iddio mi permette oggi di dare l’olocausto supremo di tutto me stesso all’Italia nostra ed io ne sono lieto, orgoglioso e felice! Possa il mio sangue servire per ricostruire l’unità italiana e per riportare la nostra Terra ad essere onorata e stimata nel mondo intero. Lascio nello strazio e nella tragedia dell’ora presente i miei Genitori, da cui ho imparato come si vive, si combatte e si muore; li raccomando alla bontà di tutti quelli che in terra mi hanno voluto bene. Desidero che vengano annualmente celebrate, in una chiesa delle colline torinesi due messe: una il 4 dicembre anniversario della battaglia di Ain el Gazala; l’altra il 9 novembre, anniversario della battaglia di El Alamein; e siano dedicate e celebrate per tutti i miei Compagni d’armi, che in terra d’Africa hanno dato la vita per la nostra indimenticabile Italia. Prego i miei di non voler portare il lutto per la mia morte; quando si è dato un figlio alla Patria, comunque esso venga offerto, non lo si deve ricordare col segno della sventura. Con la coscienza sicura d’aver sempre voluto servire il mio Paese con lealtà e con onore, mi presento davanti al plotone d’esecuzione col cuore assolutamente tranquillo e a testa alta.
Possa il mio grido di “Viva l’Italia libera” sovrastare e smorzare il crepítio dei moschetti che mi daranno la morte; per il bene e per l’avvenire della nostra Patria e della nostra Bandiera, per le quali muoio felice!

lettera di Franco Balbis (Francis), Torino 5 aprile 1944
combattente a Ain El Gazala, El Alamein ed in Croazia, decorato di Medaglia d’Argento, di Medaglia di Bronzo e di Croce di Guerra di 1a Classe. All’indomani dell’8 settembre 1943 entra nel movimento clandestino di Torino. Arrestato il 31 marzo I944 e fucilato il 5 aprile 1944
Medaglia d’Oro e Medaglia d’Argento al Valor Militare.

estratto da http://www.storiaxxisecolo.it
Lettere di condannati a morte della Resistenza Italiana