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E tanta strada per vedere un sole disperato

Primo sabato di giugno, finalmente è arrivata l’estate. Sono arrivato in paese ieri sera, una buona mezzora di coda in autostrada, il passaggio sulla Forcella prima che cadesse una frana e ne bloccasse il transito, un salto a Scabbiamara a comprare una forma di Cabannin e una pizza a Villanoce. Alla fine una serata niente male visti i presupposti.
Mi sveglio presto, intorno alle sette. Il tempo di fare colazione e sono gia in auto, direzione foresta del Penna, ho voglia di camminare, di respirare, di vedere cose belle.
Mentre viaggio verso la mia destinazione penso a quanto vorrei fare una vera vacanza, tornare magari in Alto Adige a vedere nuovi posti, fare nuove escursioni: in valle le ho fatte quasi tutte, alcune volte mi sento come Vecchioni quando in Stranamore cantava  “Ed il più grande conquistò nazione dopo nazione, e quando fu di fronte al mare si sentì un coglione perché più in là non si poteva conquistare niente: e tanta strada per vedere un sole disperato, e sempre uguale e sempre”, già, questo è quello che provo io, qui ho visto quasi tutto e anche se questo è il mio mio mondo, il mio piccolo angolo di paradiso, la valle poi finisce, oltre questi monti c’è il mondo vero e c’e tanto da vedere, da scoprire, cosi come  è altrettanto vero che ogni giorno, ogni raggio di sole non è mai uguale al precedente, ogni momento ha un sapore diverso, anche in valle.
Quando arrivo alle Casermette ha fine il mio viaggio e hanno fine i miei pensieri, posteggio l’auto dove inizia la carrareccia per l’Incisa e parto.
Sulla strada sterrata non incontro nessuno, un auto alla Segheria e nulla più, nessuno neanche lungo la salita, incontrerò solo un ragazzo lungo la via del ritorno.
Come nelle ultime gite al Penna provo a non fare soste lungo la salita, è un mio modo per testare la gamba e la gamba c’e, per fortuna. Mi fermo solo quando sono a 50 metri dalla vetta, ad ammirare il paesaggio, lo so che è il solito, ma è altrettanto vero che è sempre una grande emozione, sono sul Penna, quello che gli antichi Liguri veneravano come loro dio.
Una volta in cima faccio qualche scatto, non la solita miriade, mi godo il panorama e l’aria fresca, osservo le imbarcazioni al largo della costa, vedo le montagne ancora innevate del Piemonte e la solitaria ciminiera di Vado. La sosta non dura granché, devo fare ritorno ad Ascona per dare l’ultimo saluto a Piero, oggi ritorna a casa.
Una volta in paese faccio appena in tempo ad entrare in chiesa e la funzione è al termine, colpa mia, mi resta solo il tempo di salire al camposanto e restare sconcertato dall’ennesima prestazione di colui che dovrebbe curare le anime, ma questa è un altra storia e neppure una novità e non vale davvero la pena di raccontarla.

All the best, dal Gifarco a La Nave

All the best, dal Gifarco a La Nave

 

Salita al monte Caucaso, pt 2

Non riesco a dire quanto impiego a percorrere la salita, non facile anche a causa del primo caldo, ma l’apparizione del rifugio subito sotto la vetta ha un effetto benefico: in breve sono arrivato, un pannello indica il percorso che ho fatto e quello che farò, sulla destra parte il sentiero di ritorno, ma adesso voglio salire sulla cima dove mi aspetta una piccola cappella votiva.
La vista è incredibile: malgrado la foschia si vedono il promontorio di Sestri, tutto il lungomare sino a Lavagna, Portofino e la sua baia, si contano le imbarcazioni, si vede Genova avvolta nella calura di quest’estate anticipata, guardando le fotografie con attenzione si vedono le ciminiere di Vado. Fantastico! Non oso pensare la vista nelle giornate terse d’autunno o in inverno.
Il tempo di fare qualche foto, mangiarmi un frutto e scendo al rifugio. I gestori sono all’esterno a sistemare i tavoli, ci salutiamo, guardo ancora un po il panorama e poi entro all’interno della struttura chiedendo un caffè. Scambiamo qualche parola, sono molto cortesi, mi dicono che a pranzo aspettano otto ospiti mentre per la sera e la notte hanno il tutto esaurito. Accidenti.
Il tempo di un buon caffè e riprendo mio cammino, incrocio una coppia intenta a scendere e mi lancio in discesa nella prosecuzione della mia escursione.
Il sentiero scende un centinaio di metri verso una piccola sella con l’ennesimo burrone e l’ennesima vista mozzafiato sulla Fontanabuona e sulla costa, sulla sinistra si va a Neirone, il mio percorso mi porta a destra in una larga carrareccia all’ombra dei faggi. Dopo una ventina di minuti incrocio una strada che arriva da sinistra, avevo letto che siamo alle Stre Burche, svolto a destra, qualche minuto ancora e sulla mia destra c’è l’arrivo del sentiero con i due pallini blu, sono al passo del Gabba.
Seguo sempre il triangolo rosso pieno quando arrivo ad una strettoia dove sulla sinistra ci sono due targhe che ricordano il sacrificio di due partigiani, la strada si riallarga e poco dopo arrivo a quelle che venivano definite erroneamente le sorgenti dell’Aveto, ma non lo sono, appunto.
Incrocio gli otto gitanti che stanno andando al rifugio a mangiare, due coppie con bambini, la strada ora è in leggera salita, una volta in cima c’è un sentiero che scende sulla destra, ma non è il mio, io svolto a sinistra sul sentiero principale, sulla mia destra adesso intravedo la strada che scende verso la Scoglina, il rumore di un auto, il vociare di alcune persone ferme ai bordi della strada.
Qualche centinaio di metri e arrivo ad una sbarra e ad una grossa lapide che ricorda il sacrificio di altri partigiani, più avanti ne vedrò altre due.
Il sentiero è finito, adesso sono sulla strada, qualche centinaio di metri ed entro in Barbagelata.
Faccio un breve giro, finalmente vedo il rifugio poi la vecchia chiesa e salgo a vedere quella nuova. La strada mi riporta sulla provinciale e all’inizio di questa un sentiero indica l’Alta Via dei Monti Liguri, è questo il percorso che devo seguire per tornare all’auto che ho lasciato sul Passo della Scoglina.
La discesa è veloce, il sentiero dopo un centinaio di metri effettua un paio di tornanti per poi scendere nella faggeta, ci sono tratti all’ombra alternati da altri soleggiati. Arrivo ad un taglio di alberi e qui la bandierina biancorossa dell’Alta Via si dirada, ma è sempre comunque visibile. In venticinque minuti arrivo sulla provinciale, duecento metri o poco più e arrivo alla macchina. Il giro in totale è durato meno di tre ore, soste comprese, per un percorso di quasi nove chilometri e mezzo, ma aldilà di tempi e distanze la cosa più bella sono i panorami che mi porterò dentro, davvero belli.