Il giorno dei cinque passi, pt 1

Quando sono in valle, nella mia valle, nel mio paese, il solo motivo che mi obbliga a spostarmi è il ritorno a Genova, la domenica sera o meglio ancora al lunedì mattino.
In passato ci riuscivano le fidanzate e magari sarà così anche in futuro, prossimo o remoto chi lo sa.
Lunghi viaggi verso Mirano o Chiavenna, ma ne valeva la pena, così come ne è valsa la pena scendere verso la riviera la scorsa domenica: un invito da parte di una coppia di amici per festeggiare il compleanno delle figlie in un paesino in provincia di La Spezia. Non mi muoverei mai dalla valle, ma per gli amici, quelli veri, vale la pena.
Così, alle nove meno qualcosa di una calda domenica d’estate, parto, direzione Mattarana.
Viaggio, senza fretta, il finestrino abbassato, la temperatura è gradevole, una compilation a farmi compagnia.
Una volta arrivato a Cabanne comincio ad incrociare auto che viaggiano in senso opposto, che scappano dal caldo della riviera, oltre ad imbecilli che guidano in modo scellerato. Sulla piana accanto al fiume hanno tagliato il fieno ed è uno spettacolo ed un tuffo nei ricordi d’infanzia.
Ad un tratto inizio ad incrociare ciclisti, pochi all’inizio, poi, una volta superato il passo della Forcella, affollato di persone come mai ho visto in vita mia, sempre di più.
Da soli, in compagnia, giovani, anziani, donne, ragazze, anche parecchio carine se mi consentite: mi ricorda, con le dovute proporzione, il pellegrinaggio di amanti delle due ruote lungo i tornanti dello Stelvio.
Poche centinaia di metri prima di arrivare a La Squazza incrocio Toni, nella sua solita elegante camicia azzurra, alla guida della corriera, supero l’albergo abbandonato, simbolo di un mondo che fu e scendo verso Borzonasca.
Non so quanto impiego ad arrivare a Chiavari, tanto tempo, ma non importa.
Mentre faccio gasolio si ferma un signore in scooter che mi fissa ed esclama “Garelli“, lo guardo attonito e lui di rimando “Non mi riconosci, sono Luciano“. La mia risposta è un “Ma va a cagare!” che tutto sommato non c’entra niente.
Cribbio, Big Jim in persona, saranno almeno vent’anni che non lo vedevo, dai tempi delle indianate a Pievetta, sempre uguale, abbronzato, palestrato, stessi capelli, un figlio che lo aspetta sullo scooter. Che sorpresa!
Restiamo qualche minuto a parlare, mi dice che viene sempre su a sciare, l’avessi incrociato una volta.
Ci diamo appuntamento per il prossimo inverno e mi saluta con un “Ciao Silvo” di altri tempi.
Potrei prendere l’autostrada, ma è un giorno senza fretta, dedicato a me stesso, agli amici, al mio tempo e decido così di percorrere la statale.
Attraverso Lavagna, Cavi, Sestri, vedo famiglie scendere dalle auto e dirigersi verso le spiagge, in cerca di refrigerio, sicuramente non in cerca di tranquillità.
Imbocco la salita del Bracco, lontani i tempi in cui andavo con lei e gli amici da Casaggiori, ma non ho nostalgia, il tempo passa e fa il suo corso.
Viaggio, tranquillo, senza pensieri, adesso il finestrino è chiuso, climatizzatore acceso, musica, luce d’estate.
Poche macchine, poche moto, il navigatore mi indica che ho superato il limite, sono a 40 all’ora, il limite è 30, all’ingresso del paese di Bracco, senza un cartello, nascosta come il peggiore dei ladri, c’è una pattuglia con l’autovelox, vaffanculo, non me ne frega niente, all’uscita del paese un cartello indica la fine del divieto dei 50.
Multa o non multa? A fare in culo, non importa.
Sono su una delle strada più celebrate d’Italia, ma non c’è particolare traffico, anche poche moto, lo stato dell’asfalto in alcuni punti non è il massimo, i bordi sono sporchi, incrocio costruzioni abbandonate, il turismo si è spostato altrove, il progresso, ma anche tutti i governi, tutte le amministrazioni hanno distrutto un paese, un economia. Questa, come altre strade, sono il simbolo di un paese che è stato, che non c’è più.
Sono le undici quando arrivo a destinazione, posteggio davanti alla trattoria celebrata sul sito del paese, riordino le istruzioni, cerco la strada, non sono sicuro e alla fine devo chiamare… (segue)

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