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Pensieri al tramonto

Ultimo sabato di ottobre, il tempo vola, maledettamente.
Sono tornato in valle, forse per l’ultima volta prima dell’ennesimo lockdown, la pandemia non concede sosta: dopo la pausa estiva ha ripreso il suo corso, in maniera inesorabile, alla faccia dei negazionisti e dei sapientoni.
I quotidiani e le televisioni parlano di una prossima chiusura, ma ancora non c’è nessun divieto se non il consiglio di limitare gli spostamenti: per non sapere ne leggere ne scrivere decido di salire in valle a chiudere casa.
Arrivo ad Ascona il venerdì sera, sono le sette e non c’è anima viva, nessuna auto, poche luci ad illuminare le finestre, a rischiarare la notte.
Sbrigo le mie faccende nella mattinata del sabato in modo di avere il pomeriggio libero: sono due mesi che non vado a camminare, l’ultima volta è stato in occasione del Giro del Postino in val Boreca, dopo di allora il nulla.
E’ l’una e mezza quando lascio Ascona alla volta del passo dello Zovallo: dopo tante titubanze ho deciso di fare l’anello del monte Nero con annessa discesa al lago.
Una volta posteggiata l’auto parto a razzo, ma non ho fatto i conti con la mancanza di allenamento e i chili accumulati in queste settimane, pochi, ma rilevanti.
Arrivo ai piedi della grande salita che sono già provato, provo a cambiare marcia e inizio a salire con calma, mi concedo diverse soste, necessarie se non voglio che mi esploda il cuore, ma fatico, cazzo se fatico.
Faccio un paio di fotografie dal primo belvedere lungo la salita ed in lontananza mi appare la sagoma del monte Rosa. Una volta percorsi gli ultimi metri che mi separano dalla cima raggiungo finalmente la croce sulla vetta. La vista è poco più che decente, sicuramente non delle migliori ed i colori del bosco erano più belli le scorse settimane. Il piccolo prato sulla cima è occupato da una coppia che si è svaccata a riposare così scendo qualche decina di metri a fare pochi scatti che non mi daranno alcuna soddisfazione. A questo punto devo decidere se proseguire o tornare indietro, non sono tanto i cinque chilometri e passa che mancano, quanto la luce che verrà mano a mano a scemare. Decido di tornare indietro ed in poco più di venti minuti sono al passo. Dalla cima del monte Nero ho visto un mare di nuvole in arrivo, se arrivo, scusate il gioco di parole, in tempo sul Crociglia potrei assistere ad un tramonto niente male. Una volta raggiunta Selva imbocco la salita che conduce al passo dove posteggio l’auto. Senza fretta mi dirigo verso la statua dell’Angelo che sovrasta Torrio e la valle, c’è un bel sole, ma pure un venticello fastidioso.
Nel tratto di sentiero che attraversa il bosco e porta ai pascoli incrocio un anziana signora e dopo poco madre e figlio di Torrio. Sui pendii del monte ci sono ancora le mucche di Pietro che quest’anno si sono risparmiate lo show della transumanza e l’annesso ritorno nei giorni successivi.
Sono le quattro e un quarto quando raggiungo la statua. E’ decisamente presto, faccio alcuni scatti dopodichè mi prende la malinconia e anche un po di freddo.
Prendo le mie cose e inizio a scendere il pendio per tornare all’auto, poi lungo la discesa il vento inizia a scemare e decido di attendere. Mi siedo sull’erba e aspetto, aspetto. Sotto di me, sulla carrareccia passa il ragazzo di Torrio seguito a distanza dalla madre ed un gruppo di sei tra ragazzi e ragazze, naturalmente senza mascherina, ma non so se fargliene o meno una colpa: dopo pochi minuti li sento alle mie spalle che hanno raggiunto la vetta. 
Io resto seduto, nella mia solitudine, avvulso nei miei pensieri. Il sole inizia a scendere mentre le nuvole che avevo visto dal monte Nero avanzano inesorabilmente, raggiungono e superano il monte di Mezzo e sommergono Ascona. Riprendo a scattare, adesso va meglio e trovo soddisfazione nel farlo, il gruppetto di ragazzi, dopo avere fatto un centinaio di selfie, se ne va e mi lasciano padrone della vetta. Una foto all’Angelo, una al Monviso, una al monte Rosa più imponente e maestoso che mai e altre foto al tramonto, al giorno che muore, alla notte che avanza, alle nuvole che tutto avvolgono e sommergono. Si, ho fatto bene a restare, non solo per gli scatti, ma anche per la gioia di assistere ad un tramonto cosi bello, a questa meraviglia della natura, ad un qualcosa che risolleva l’animo da questi strani giorni , tristi e cupi, da un futuro indefinito ed impossibile da decifrare: vivere il presente è qualcosa di davvero importante.

Dodici momenti del 2018

Ritorno sul monte Nero

Sabato di metà ottobre. Sono arrivato in valle in mattinata, il paese è praticamente vuoto, ma questa non è una novità.
Nel frattempo è stata emessa la sentenza: dieci giorni fa mi ha visto un medico del Galliera e ha sentenziato che è tiroide al 100% e devo essere operato, senza se e senza ma. La lista di attesa dice 12 mesi. Viva la sanità pubblica.
Nell’attesa della visita del chirurgo, io cerco di recuperare le escursioni perdute in estate. La giornata è splendida per quanto l’orizzonte sia disturbato dalle solite nuvole, io mi sento decisamente meglio che ad agosto e cerco di godere di questo nuovo regalo. Dove andare però? Nella mia personale wishlist mancano ancora quattro monti, sono certo che non riuscirò a salirli tutti e alla fine opto per ritornare sul monte Nero.
Arrivare al parcheggio dello Zovallo è un impresa: i colori dell’autunno sono fantastici e mi ritrovo a fermare l’auto ogni due minuti. Si, l’autunno è davvero la mia stagione preferita, almeno per le fotografie.
Una volta posteggiata la Sedici, mi preparo e avvio l’app sullo smartphone per verificare durata e tempi dell’escursione.
Il tratto iniziale è lo stesso che porta la Lago Nero, ma questo l’ho già scritto e riscritto, finisco per ripetermi come al solito, ma ripetere i sentieri, le esperienze, i giorni non è un delitto.
Nel mio cammino noto numerosi canali di scolo che attraversano il sentiero, probabilmente sono stati scavati per far defluire al meglio le piogge che inevitabilmente cadranno nei prossimi tempi.
Arrivato al primo bivio trovo una staccionata ed una panchina nuove di zecca. Beh, che dire? Tutto ciò che abbellisce i nostri sentieri è ben accetto.
Imbocco il sentiero di sinistra, lentamente, non ho alternative, incrocio una coppia di escursionisti ed in breve arrivo sul piano. Questione di minuti e sono ai piedi della salita più dura di tutte tra quelle che conosco in val d’Aveto e val Nure, forse è peggio quella del Ragola, ma no, non c’è gara. Le ultime due volte sono arrivato in cima senza soste, questa volta non credo  potrò farcela e cosi sarà.
Tra una sosta e l’altra arrivo in cima, ma la fatica è tanta. Faccio un salto al belvedere sulle Buche e poi via, verso la vetta, dove trovo una escursionista intenta a fare merenda, saluto, due scatti e via, no, non ho nessuna voglia di compagnia.
La giornata è bella, ma la luce particolare non aiuta per le fotografie che vorrei fare, pazienza, qualcosa di buono uscirà lo stesso.
Il sentiero lo conosco, lo conoscete ormai anche voi e non presenta sorprese, incrocio un altro escursionista mentre scendo la seconda vetta, poi più nulla e nessuno.
Il tratto che scende dalla Costazza al lago è quello che amo meno, mal segnalato e sconnesso, il terreno è umido per le recenti piogge, ma è questione di dieci minuti o giu di li e finalmente sono a destinazione.
Ci sono quattro cinque persone ed un silenzio irreale: scatto qualche immagine, una delle quali a mio giudizio decisamente bella, poi riprendo il cammino.
Scendo la parte sconnessa che porta alla prima torbiera, supero una coppia di gitanti, raggiungo quindi il breve tratto tra le rocce che porta al bivio per l’albergo e sono finalmente sulla parte in piano del sentiero. Altri lavori di abbellimento, staccionata e panchina, un invito e un pannello all’altra torbiera, ma la sorpresa sarà più avanti: in un tratto dove si ci inzuppava letteralmente a causa del fango, hanno creato una sorta di marciapiede fatto di pietre e legno, davvero un lavoro notevole.
Non sono ancora le cinque che arrivo al parcheggio dello Zovallo. L’app mi dice che ho percorso 7 chilometri e mezzo in un due ore e un quarto al netto delle soste, non male viste le mie condizioni.
A questo punto posso riprendere la via di casa, un sorso d’acqua fresca alla sorgente sul passo, due fotografie al Groppo Rosso e sono in paese. Non so se avrò la fortuna di fare ancora escursioni in questo bellissimo primo mese d’autunno, non so davvero, ma oggi va bene così.

Salita al monte Penna

L’escursione al Piano della Cavalla della settimana precedente ha lasciato strascichi inaspettati come mal di gola, tosse, raffreddore: una settimana di antibiotici e antinfiammatori per provare a rimettermi in sesto, ma in forma non sono.
Il venerdì sera torno comunque in valle, appena arrivato a casa guardo un po di Propaganda Live per ascoltare i commenti sul nuovo governo e poi a dormire presto.
La mattina del sabato è dedicata alla semina dell’orto, anno dopo anno sto imparando, peccato che di anno in anno mi dimentico tutto.
Nel pomeriggio c’è l’annuale appuntamento sul passo del Crociglia per il gemellaggio tra Torrio e Selva, mancato una sola volta negli otto precedenti appuntamenti, non mancherò neppure quest’anno, mancherò invece alla cena serale, non ne ho voglia, non sono dell’umore, alle sette torno a casa e a casa resto.
La notte mi porta riposo e voglia, voglia di camminare. Mi sveglio poco dopo le sette, c’è il sole, nessuna nuvola all’orizzonte, si, vado: il problema è dove andare, come detto la forma non è delle migliori e i sentieri in questo periodo sono letteralmente invasi dalle zecche dei caprioli, è un attimo trovarsele addosso ed il peggio è togliersele in maniera adeguata.
Scartato il Ragola, classico appuntamento di agosto, scartato il lago Nero, troppo breve o l’anello comprendente il monte Nero, troppo faticoso, escluso l’Aiona per la lunghezza dell’anello ed escluso il Trevine, in agenda ai primi di luglio con gli amici di Torrio, mi resta la classica salita al monte Penna, la classica di apertura dei miei giri in valle. E monte Penna sia.
Alle nove lascio l’auto al bivio con il viale che porta alle casermette, carico lo zaino con obiettivi e treppiede e parto.
Procedo con calma sulla carrareccia che porta al passo dell’Incisa, l’aria è fresca, ma non fredda, si sta bene, ai lati della strada alberi abbattuti dal freddo inverno appena lasciato alle spalle, va bene le rigide condizioni ambientali, ma anche tanta incuria, si, tanta davvero.
In breve sono al passo, l’ultima volta era stata a Pasqua o giù di li con Cioppi, Gian e Mattia, fresco di elezione in Senato.
A questo punto inizia la mia salita verso la cima dedicata al dio Pen, l’affronto con calma, tanta calma, passo dopo passo, cerco di regolare il respiro seppur a fatica e malgrado le mie condizioni arrivo in cima senza una sola sosta. Dimenticavo, il bosco che attraverso è un disastro, più del tratto precedente.
Arrivo in cima e sulla cima incrocio un altro escursionista, seduto, intento ad ammirare il paesaggio.
Lo saluto e mi siedo poco lontano, ai piedi della statua della Madonna. Come mi siedo noto che alla base hanno applicato la fotografia di un escursionista e scrittore morto lo scorso anno.
Visti gli sforzi e sacrifici fatti in settimana, mi cambio immediatamente maglia e metto una felpa che mi sono portato, per lo meno mi riparerà dal vento.
La vista oggi non è delle migliori, ma si vede il mare, c’è una nave di fronte a Portofino e si vede la catena dei monti della val Trebbia, non oltre. Si vedono pure il Crociglia, il Maggiorasca, il Ragola, si vedono le ultime nebbie della notte mentre si dissolvono al sole del mattino.
Non mi fermo molto, dieci, forse quindici minuti, minuti per fare qualche scatto, per godere del panorama, per godere del silenzio che mi circonda poi è l’ora di scendere e tornare verso casa, ma tornerò, si, tornerò, a godere di questa vista di infinita bellezza.

Un anno in dodici immagini

Fuggiaschi

Era un caldo mattino di ottobre, una brezza leggera muoveva le cime degli alberi mentre da giorni le montagne della valle avevano assunto tinte fantastiche, una tavolozza variopinta con i colori dell’autunno.
Nelle lente giornate d’ottobre sembrava tutto tranquillo, nei paesi, nelle campagne, ma nel bosco c’era molto più movimento di quanto si potesse pensare.
Nascosti nella parte più fitta della foresta, un gruppo composto da una decina di fuggiaschi stava cercando di riordinare le idee, di riorganizzare le file dopo una fuga che sembrava non avere fine; era dalle prime ore del mattino che stavano scappando, erano stati intercettati da una pattuglia dalle parti del Lago Nero, una fuga precipitosa lungo sentieri che conoscevano a memoria sino ad arrivare adesso sulla cima della Ciapa Liscia.
Le voci dei nemici si facevano sempre più vicine, ma l’idea di essere catturati con quello che ne sarebbe seguito non potevano accettarlo, era davvero questione di vita o di morte.
Il gruppo rimase in silenzio alcuni interminabili minuti, poi, dopo aver guardato in faccia ogni elemento del gruppo, quasi a cercare l’assenso di ogni singolo componente, il capo del gruppo riprese finalmente il cammino imboccando lo stretto sentiero che scende verso il prato del Pero: i più giovani si disposero silenziosamente in fila indiana e lo seguirono senza aprire bocca.
Si muovevano velocemente tra i faggi, silenziosi, solo lo scalpiccio dei loro passi sulle foglie ed il respiro affannoso dei più anziani: una volta arrivati sul grande prato sulla cima della Roncalla, decisero di proseguire verso valle cercando protezione tra il fitto della boscaglia.
Ad un tratto il sibilo di un proiettile passo sopra le loro teste, poi un altro e un altro ancora. Si guardarono velocemente senza arrestare la corsa, fortunatamente nessuno era stato colpito.
Mano a mano che scendevano, la corsa si faceva sempre più veloce.
Il capo, detto il Grigio, era reduce da decine di agguati a cavallo delle due valli, incursioni a Selva, Torrio, Pertuso, in molti paesi della zona, i giovani sapevano che di lui potevano fidarsi ciecamente.
Quando arrivarono sul Groppo Rosso diedero un veloce sguardo a Santo Stefano, i camini fumanti, qualche figura lungo le vie del paese, la vista era splendida, ma non potevano fermarsi, il vociare nemico era sempre vicino, sempre troppo vicino.
Il capo a quel punto svoltò sul sentiero che scende verso destra ed in pochi istanti si ritrovarono sul percorso che porta alla Valle Tribolata, una delle meraviglie della valle, ma anche in questo caso non avevano ne il tempo ne la voglia per godere del panorama.
In un attimo si buttarono a capofitto nel bosco che porta ai piedi della Ciapa Liscia, la terra sotto di loro si faceva sempre più scivolosa e ripida.
Una volta arrivati sul piano si trovarono di fronte due cercatori di funghi: questi, colti di sorpresa, si fecero da parte senza proferire parola, non erano armati ed il loro gruppo era decisamente troppo numeroso per provare a bloccarne anche uno soltanto.
In passato erano stati molte volte sul prato ai piedi della Ciapa Liscia, non c’era uno solo di loro che non avrebbe gradito sostare un solo attimo su quel verde pianoro, ma per questa volta dovettero desistere.
Superata la Gera Grande il sentiero usciva pericolosamente allo scoperto, accanto ai roccioni ai piedi della Rocca Marsa.
Il Grigio si fermò un momento, si guardò in giro per controllare che non ci fossero nemici in agguato, sbuffò e si lanciò tra le rocce alla sua sinistra.
Con un balzo si trovarono nella valletta che scende verso valle, l’anziano si lanciò nell’acqua e dietro tutti gli altri, i cani che seguivano le loro orme erano sempre molto vicini, occorreva far perdere le tracce e forse con questa mossa ci sarebbero riusciti.
Erano ormai le quattro e mezza del pomeriggio quando arrivarono in un piccolo appezzamento poco lontano da Torrio, il sole aveva iniziato a tramontare, a malapena si intravedeva il paese, pochi camini fumanti, poche presenze in paese. Certo, non erano gli abitanti del villaggio il pericolo, il pericolo era alle loro spalle, ma, lanciandosi nel ruscello, erano riusciti nel loro intento di depistare gli inseguitori.
Dopo aver ripreso fiato, il capo scrutò il cielo, guardò i suoi compagni e decise che era il momento di arrestare la fuga, avrebbero trascorso la notte in quella radura, avevano cibo e acqua, poi, con le prime luci del giorno, avrebbero cercato rifugio altrove.
Il mattino dopo, con le prime luci del giorno, arrivò u Giuan, il padrone del campo dove i fuggiaschi avevano trovato ospitalità.
Guardo l’appezzamento che amorevolmente aveva curato tutta l’estate, sgranò gli occhi e mettendosi le mani nei capelli esclamò: Te stramaledisse i cinghiali, m’an mangiau tutte e patatte!

Ciapa Liscia, 31 ottobre

Ciapa Liscia, 31 ottobre

Anello del monte Nero

Venerdì di metà luglio: esco dall’ufficio all’una grazie alla proposta dei miei titolari di accorciare la settimana lavorativa per questo ultimo mese di lavoro. Ottima intuizione, anche se come al solito qualcuno non è d’accordo, ma mi stupirei se non ci fossero i soliti bastian contrari.
Arrivo in paese che sono passate da poco le due e mezza, mangio un boccone e decido di andare a fare due passi: il pomeriggio è fantastico, anche se è caldo, caldissimo, ma spero che in quota la temperatura sia meno rovente.
Alle quattro in punto posteggio l’auto al passo dello Zovallo e mi dirigo verso il lago Nero, è un classico delle mie escursioni e quest’anno non ho ancora timbrato.
La passeggiata è una delle più semplici tra tutte quelle che si sviluppano tra val d’Aveto e Val Nure, già, perché che piaccia o no, qui siamo sul versante piacentino dell’Appennino. Il sentiero corre nel bosco ai piedi del monte Nero, costeggia una primo prato di piccole dimensioni, quindi dopo un brevissimo tratto di terreno sconnesso affianca un secondo vasto prato, memoria di un antico lago glaciale situato proprio sotto al monte. Da qui una salita dapprima su un sentiero sterrato ed infine su di un tratto roccioso porta al lago, nascosto da una fitta vegetazione.
Sul sentiero incontro soltanto una ragazza sulla via del ritorno mentre nell’area di ristoro posta sulle rive del lago cinque ragazzi mi chiedono di scattargli una foto.
La luce non è delle migliori e inoltre ho dimenticato il treppiede nel bagagliaio dell’auto, cosi non mi trattengo più di tanto.
Dicono che l’appetito vien mangiando, alzo gli occhi verso il monte Nero ed in un attimo mi ritrovo sulla via verso la sella della Costazza.
Fino a questo punto l’escursione è stata piacevole, la maggior parte della passeggiata è stata all’ombra e nel bosco la temperatura non era particolarmente alta. Adesso, una volta arrivato sulla sella, il sentiero è sotto al sole e prosegue tra le rocce che caratterizzano il monte.
Quando sono sulla prima delle due creste che portano alla vetta incontro un primo escursionista, in breve arrivo alla seconda cima e poco dopo al cavo che aiuta ad arrampicare la piccola parete rocciosa che introduce all’ultima salita prima della vetta.
Come sempre faccio molte fotografie, poche in verità al lago in quanto completamente baciato dalla luce del sole. Mi trattengo pochi minuti sulla cima, sono solo, circondato dal silenzio e dal profumo dei pini mughi, baciato dal sole e da una leggera brezza apparsa all’improvviso. Mi fermerei per ore in questo paradiso tra terra e cielo, ma devo rientrare, domani mi aspetta un altra, lunga, faticosa escursione.
Prima di scendere verso il passo incontro un altro escursionista, scambiamo due parole, scatto un ultima foto al mio amato Ragola e imbocco la ripida discesa che mi riporterà allo Zovallo e per quanto metta a dura prova le ginocchia è sempre meglio che percorrerla in salita.
Lapalissiano direi!

All’Angelo

Ultimo weekend di febbraio, le previsioni meteo annunciano un fine settimana di sole, la condizione ideale per fuggire dalla città, tornare ad Ascona e godere di due giorni di valle, un occasione troppo ghiotta per non approfittarne.
Così scappo da Genova ed eccomi qui, accanto alla statua dell’Angelo, solo, nessuno intorno, nessun segno dell’uomo se non le impronte lasciate nella neve da chi mi preceduto, quando non ve lo so dire, ma non è così importante.
Solo, ma la sensazione di solitudine è cercata, voluta, desiderata.
Solo, con il battito del mio cuore, il mio respiro, i miei pensieri.
Ho appena provato a salire dallo Zovallo verso il lago Nero, ma non sono attrezzato, erano necessarie le ciaspole che non ho, ho ripiegato per un’altra meta, sarebbe il caso di scrivere di una meta per tutte le stagioni, il Crociglia.
Ho lasciato l’auto sul passo e imboccato il sentiero che mi ha condotto qui, ai piedi della statua dedicata all’Angelo, quella statua tanto cara agli abitanti di Torrio.
Sul pratone accanto al passo, la neve risentiva del caldo sole del pomeriggio e le gambe in qualche punto affondavano sino al polpaccio, poi, nel bosco, qualche punto più duro dove la gamba non scendeva nel manto bianco, ma  faccio comunque una discreta fatica ad avanzare. Mi fermo più volte, l’aria fresca, fredda, un po di vento, il cuore che batte, eccome se batte, ed il respiro pesante o meglio il fiatone, sono le scorie dell’inverno. Uscito dal bosco mi aspetto che la situazione peggiori, ma una volta arrivato sulla costa del monte, là dove fa capolino Vicosoprano, la neve non è più cosi alta. Quando sono ai piedi del monte mi fermo e mi appare in tutta la sua potente imponenza il monte Rosa e per l’ennesima volta mi sento obbligato ad immortalarlo.
Ora salire verso la statua non è più faticoso, il respiro è leggero cosi come il battito del mio cuore, il vento mi accompagna nella salita.
E adesso sono qui, ad ammirare il panorama, solitario, a godere di questi attimi impagabili di silenzio con il sibilo del vento, il battito del mio cuore e il mio respiro. Solo con i miei pensieri, lievi, dolci, anche se il mio sguardo corre verso le montagne oltre la pianura e il calendario dei ricordi mi porta indietro a un anno fa. Sono solo, forse non felice, ma sereno, immerso nel mio mondo e con gli occhi colmi di bellezza.

Il monte Nero (II parte)

Alla partenza non ci eravamo prefissi una meta, è una bella giornata, c’è il sole, per cui decidiamo di proseguire.
Adesso il sentiero scende tra le rocce e i pini che caratterizzano il monte, ad un tratto c’è una corda in acciaio per aiutare nella discesa, il lago Nero è sempre laggiù, non sembra esserci ancora nessuno sulle sue sponde.
Dopo una breve discesa siamo ai piedi di una seconda cima che superiamo velocemente.
Siamo ad un bivio: alla nostra sinistra il prato dell’Anzola, alla destra il sentiero che conduce al lago, di fronte a noi lamponi e il monte Bue: optiamo per la terza scelta, soprattutto per i frutti di bosco e perdiamo qualche minuto a fare incetta di lamponi, piccoli, dolci e carichi di zuccheri, facciamo due chiacchiere con una coppia di Parma e dopo la breve sosta ci avviamo verso la vetta del Bue e in pochi minuti siamo in cima.
Siamo soli, davanti a un rifugio chiuso, ad una seggiovia ferma, ad una baracca in lamiera, è il 20 agosto, nella settimana di massimo afflusso turistico, non è difficile spiegarsi certe cose, ma mi ripeto, è uno spettacolo quello ho davanti agli occhi e riesco a sopportare anche queste tristezze.
Restiamo assorti a guardare il panorama, Santo Stefano è laggiù e naturalmente si vede l’immancabile Vicosoprano, c’è foschia e l’occhio si perde nelle nubi di caldo che limitano la vista, Alessandro si dondola su un sedile della seggiovia.
Ripartiamo e dobbiamo decidere se scendere verso il prato della Cipolla o fare una deviazione e salire sul Maggiorasca e Maggiorasca è. Iniziamo a incrociare altri escursionisti e altre piante di lamponi e Alessandro non resiste. Dopo la ripida salita lastricata in pietra,  in pochi minuti arriviamo ai piedi della statua della Madonna tanto cara agli abitanti di Santo e di buona parte della valle. C’è Pietro, il macellaio, con la moglie e c’è la valle ai nostri piedi. La sosta dura pochi attimi, il tempo di bere e fare due foto. Scendiamo verso la Cipolla lungo quella che d’inverno è una delle piste da sci. Come arriviamo sul prato incontriamo parecchie persone, molte famiglie con i bambini, qui almeno il rifugio è aperto e la terrazza è quasi piena. Ci fermiamo a bere e a fare rifornimento d’acqua, Alessandro scambia due chiacchiere con dei signori di Milano e io ne approfitto per fare gli auguri ad una persona a me cara. Ripartiamo, imbocchiamo il sentiero che ci porterà al lago Nero e da qui alla macchina. Lungo il sentiero incontriamo molti gitanti e tutti rispondono educatamente al saluto che è prassi sui sentieri di montagna. Arriviamo alla Fontana Gelata, c’ero stato una sola volta, almeno venticinque anni prima, con tutta la compagnia di Ascona, bei tempi, sicuramente per l’età. Dalla fontana al Lago Nero è questione di pochi minuti e quando arriviamo sembra di essere a Rimini, i tavoli pieni, i piccoli prati intorno allo specchio d’acqua pieni, tutti gli anfratti pieni, bambini, genitori, nonni, coppiette, marziani. Troviamo uno spazio su delle rocce all’ombra e ci gustiamo la focaccia, ci sono dei ragazzini con il nonno che giocano con l’acqua, ad un tratto sull’acqua dinnanzi a loro passa una biscia e diventa suo malgrado l’attrazione, i bambini l’inseguono e quando si avvicina alla riva cercano di colpirla con i bastoni o con le canne da pesca, per loro sfortuna il rettile non è così sprovveduto e nonostante qualche affanno riesce a mantenersi a distanza di sicurezza e ad infrattarsi sotto la sponda. Consumato il veloce pasto ripartiamo e riprendiamo il sentiero, ancora gitanti in arrivo, sulle rive ce ne saranno almeno centocinquanta, mai vista una cosa simile. Sulla via del ritorno Alessandro devia dal sentiero e una volta trovati due faggi di suo gradimento estrae un’amaca e la posiziona tra i due alberi e si ferma a riposare una mezzora. Io aspetto, mi sdraio sul tappeto di foglie e chiudo gli occhi, respiro, svuoto la mente e mi godo il momento. Tra pochi minuti riprenderemo il sentiero, riprenderemo l’auto, torneremo ad Ascona e Amborzasco, ma sarà ancora vacanza, sarà ancora vita.

Dodici mesi in dodici scatti